Quest’anno, il 26 e 27 novembre, si terrà l’Aerospace and Defence Meeting, manifestazione biennale del settore della bellico aerospaziale, giunta alla settima edizione. Si svolgerà, come di consueto, a Torino.
Una mostra-mercato di armamenti bellici di avanguardia che prevede 900 partecipanti da 26 differenti paesi, un’occasione di affari per i produttori di tecnologie destinate esclusivamente a quegli apparati che permettono il mantenimento del dominio politico ed economico. Scopo esplicito degli organizzatori è la valorizzazione delle eccellenze del settore armiero made in Italy e, sopratutto, made in Piemonte. A Torino e nel suo hinterland sono presenti importanti soggetti del settore: Thales Alenia Space, UTC Aerospace System, Avio Aero. Di là del nord-ovest l’Italia è un importante esportatore di tecnologie belliche pesanti: Oto-Melara, Leonardo, Augusta, Fincantieri, IVECO. Industrie in cui vi è spesso una profonda compenetrazione tra il capitale pubblico e quello privato a dimostrazione dell’importanza strategica del settore per gli interessi generali della classe dominante in Italia. A queste si aggiungono le controllate estere come la già citata UTC e la RWM, la cui tristemente famosa sede sarda produce le bombe aeronautiche destinate all’impiego in Yemen.
La guerra è necessaria al capitalismo ed all’ordine statale per riprodursi, mantenersi ed espandersi. Assistiamo, oramai da anni, a una militarizzazione del quotidiano: se trentanni fa, finita l’epoca dei grandi movimenti sociali di massa e tramontato lo spettro del lottarmatismo, qualcuno avesse predetto che sarebbe stato normale avere una pax armata urbana composta da militari che pattugliano stazioni ferroviarie, sostano davanti a edifici pubblici, contribuiscono alla sorveglianza di cantieri TAV, parlano regolarmente nelle scuole per spiegare che chi è morto per la patria è vissuto assai sarebbe stato preso per un inguaribile distopista. Eppure i tessuti urbani, sia delle metropoli sia di alcuni centri di provincia, sono attraversati quotidianamente da pattuglie dell’Esercito Italiano: è così da oramai un decennio e quello che prima sarebbe stato anormale, eccezionale, giustificabile all’opinione pubblica solo con uno stato di eccezionalità oramai è diventato parte integrante dello spazio quotidiano. Un precedente c’era stato – l’operazione Vespri Siciliani – ma per attuarlo vi era stato il ricorso all’eccezionalità della situazione in Trinacria dopo gli eccellenti omicidi dei giudici del Pool di Palermo.
Dopo l’undici settembre lo stato di eccezionalità si è normalizzato: è diventato permanente. Nonostante in Italia non si siano verificati attentati islamisti e nessuno di questi sia stato sventato in anticipo dai militari dell’Operazione Strade Sicure questi continuano a pattugliare in equipaggiamento bellico i principali nodi di molte città. Oramai in molti si sono dimenticati di quella che era stata una delle due principali scuse per l’impiego dei militari nell’ordinario pattugliamento – l’altra era la microcriminalità ed anche lì possiamo vedere come la stazione dei carabinieri di Roccacannuccia Inferiore abbia sventato più scippi che i militari della Taurinense – e questi sono diventati parte integrante della vita quotidiana. Il treno per pendolari al binario quattro è in ritardo e tre militari armati di AR-70/90 e dotati di giubbotto antriproiettile stazionano davanti al tornello. Tutto nella norma, circolare.
D’altra parte oramai da anni si dice esplicitamente che parte della popolazione è costitutivamente nemica: proletari sempre più impoveriti, clandestini, zingari, talvolta oppositori. Categorie che vengono poste al di fuori del patto sociale, non meritorie delle garanzie del diritto liberale, con i quali rapportarsi in termini bellici.
Il lavoro di Jacobs fornisce una cornice teorica allo stato di eccezione permanente che caratterizza le democrazie di fronte alla Jihad – e non solo. Le aporie democratiche, l’inconsistenza della narrazione sull’universalità dei diritti umani, la scatola vuota che regge l’immaginario che attraversa buona parte del pianeta, nell’elaborazione di Jacobs non sono più tali. Il diritto penale del nemico implica un livello repressivo differente, che investe singoli e gruppi sociali e politici per quello che sono, non per quello che fanno.
L’elaborazione dell’immagine del nemico, di chi è colpevole perché c’è, perché la sua stessa esistenza rappresenta una minaccia, è un processo durato decenni. Un processo che mina alla radice la nozione di “diritti umani”, per trattare alcuni umani come gli animali non umani.
Le “missioni di pace” in Afghanistan ed in Iraq, fatte in parte per doveri di alleanza e clientela geopolitica ed in parte per tutelare gli investimenti ENI nel sud dell’Iraq, si sono eclissate dal palco dello spettacolo senza fanfare ed oggi si parla senza problemi nel dibattito pubblico di andare a bombardare i porti libici per bloccare i flussi migratori. Proposte che fino a qualche anno prima sarebbero state le boutade di qualche politico post-fascista sono diventate oggetto di dibattito, spesso favorevole, su alcune tra le principali testate nazionali.
Intanto aumenta l’impegno militare italiano nel Sahel, tra la costruzione di avamposti e l’addestramento di truppe locali; a questo si sommano le missioni antipirateria nell’Oceano Indiano, balzate all’onore delle cronache, con una narrazione tossica e schifosa, solo con il caso dell’omicidio da parte di militi del San Marco di Valentine Jelastine e Ajeesh Pink, due pescatori indiani ammazzati dalle raffiche ingiustificate e ingiustificabili sparate da dei marò impiegati in un’operazione antipirateria.
La normalizzazione del militarismo, la sempre più marcata presenza di militari nello spazio urbano, la permeabilità tra comparto militare e comparto civile, con ex militari che hanno un canale di accesso preferenziale ad incarichi nella pubblica amministrazione ed ex alti ufficiali con incarichi di funzionari di alto livello nell’amministrazione civile, sono caratteristiche del nostro tempo.
I militari italiani assumono il ruolo di operatori umanitari, gli operatori umanitari svolgono anche funzioni di polizia. Non per caso sulle frontiere chiuse, come nelle zone di guerra dove operano le forze armate tricolori, non c’è spazio per i volontari non allineati, per le pur tiepide ONG, per i sovversivi, per i giornalisti non allineati, per chi si batte per la libera circolazione e contro guerre e militarismo.
Già in occasione di catastrofi come terremoti, smottamenti ed inondazioni i militari sono stati impiegati in funzione di “soccorso umanitario” e, insieme, di controllo e prevenzione di possibili insorgenze sociali per la mancata tutela del territorio, la cementificazione selvaggia, lo sfruttamento economico senza limiti, la costruzione di infrastrutture pericolose.
Paradimatica è la gestione del post terremoto all’Aquila nel 2009, una sorta di mega esercitazione sul campo di controllo, deportazione, privazione della libertà di circolazione: i terremotati sono stati privati di parte delle tutele e delle garanzie connesse alla cittadinanza.
Nulla di realmente inedito in realtà. Si trattava di pratiche normalmente utilizzate con i rom, i senza tetto, i clandestini. Il fatto nuovo è che per la prima volta i militari si sono addestrati con cittadini italiani. Il perfezionamento del sistema avverrà nel decennio successivo nelle tendopoli di braccianti, nei campi tende e negli hotspot, nella repressione delle insorgenze sociali nella Terra dei fuochi, in Val Susa, in Salento.
Eppure, nonostante questo, l’Eurospace and Defence Meeting si svolge in semi-clandestinità, senza strombazzamenti pubblici ed avanspettacolo militarista. In certi settori dell’opinione pubblica l’esistenza di una mostra-mercato di prodotti bellici desta ancora una certa antipatia, si sarà considerato. Sicuramente di antipatia ne provoca molta nelle nostre fila, le fila di chi sa del legame indissolubile tra militarismo e dominio economico e politico. Infatti l’Assemblea Antimilitarista Torinese sta preparando un corteo per il 16 novembre in apertura della settimana di mobilitazione contro l’Aerospace and Defence Meeting.
L’indignazione morale non basta. Il variegato mondo del pacifismo italiano non si è mai riuscito a sganciare dall’attesa di un qualche rappresentante politico che portasse in parlamento i suoi temi. Si è perso nell’abisso della moralizzazione ed ha preferito preoccuparsi della diffusione di giochi e sport accusati di essere militaristi, pretendendo a sua volta di normare arrogantemente comportamenti individuali del tutto innocui per il prossimo, senza badare al fatto che la guerra oramai è ovunque.
La mobilitazione del 16 novembre è contro la guerra dei padroni e contro la pax armata dei padroni stessi. Vuole collegare l’opposizione al militarismo all’opposizione di classe, alla lotta contro il razzismo e il dominio di genere. Militarismo, classismo, razzismo, patriarcato, distruzione dell’ambiente, specismo rappresentano un unico blocco: l’opposizione parziale ad uno solo di questi pilastri è una perdita di visione d’insieme. L’intersezionalità delle lotte, la capacità di costruire quotidianamente qui ed ora un radicale altro: queste sono le scommesse immediate che bisogna lanciare.
Tallide